Parthenope, un Jep Gambardella che dà fastidio. Ecco perché l’ultimo film di Sorrentino è un capolavoro

 In IL SETACCIO

Hai amato troppo o troppo poco? A cosa stai pensando?

Il nuovo film di Paolo Sorrentino, Parthenope, gira intorno a queste domande imperanti. Forse perché la donna spesso risponde “niente”, che vuol dire tutto. Un tutto che spesso nessuno vuole ascoltare, specialmente quando sei troppo bella.

A cosa stai pensando? Una domanda che racchiude la speranza di sentire “a te”, “che ti amo”, “che ti voglio”. E invece Parthenope ha sempre una risposta pronta che spiazza e irrita.

Parthenope e quella ricchezza di famiglia che rende impossibile diventare adulti perché non prepara alla vita, alle incombenze, agli imprevisti, agli impegni. Quella noia strabordante di chi non sa che farsene dei giorni vuoti. Il tempo che sembra sempre troppo o troppo poco a seconda dell’umore.

Parthenope, che sceglierà la solitudine, lo studio, di non avere figli, di fare sesso anche per farsi del male, per appartenersi, e per di più anche con un uomo di chiesa perverso e dal corpo indesiderabile ma eccitante che le ficcherà le dita nella fica. Perché andare a letto con uomini brutti e che non si amano dona l’illusione del controllo, di potere tutto. Per una donna non c’è nulla di più autodistruttivo che farsi penetrare senza distinzioni. Darsi per buttarsi via. Darsi per silenziare un dolore più grande. Dare via ciò che tutti vorrebbero, ciò che fa girare il mondo, scoppiare guerre, ciò che porta a uccidere. Gettare via ciò che potrebbe dare la vita.

Parthenope e quell’amore incestuoso, l’unico vero amore che incontrerà. L’amore proibito. Quell’incesto che, come scrisse l’antropologo René Girard nel suo capolavoro La violenza e il sacro, fu interdetto ormai secoli fa per frenare la violenza all’interno delle comunità.

Come scrissi proprio qui su Pangea, l’incesto è da sempre generatore di scompiglio e aggressività:

“Il marito o la moglie che si sceglie sono oggi la vittima sacrificale, l’individuo con cui dare sfogo a sessualità e violenza fuori dalla comunità, lontano dal circolo familiare d’origine. Per questo l’incesto fu proibito, perché la sessualità e la gelosia sgorgavano in seno alla comunità e questo non si poteva permettere”.

Le comunità erano piccole, bisognava preservare la sopravvivenza delle poche persone presenti al suo interno. Ed ecco nascere la vittima sacrificale, il capro espiatorio su cui riversare la brutalità insita nell’essere umano. Ecco perché divenne necessario scegliere un amore che fosse lontano dalla propria tribù. La gelosia e la carnalità scaturivano tra parenti e familiari, ma questo rischiava di mettere in pericolo tutti. Meglio cercare e sfogare la passione all’esterno, con sconosciuti. In questo modo – se le cose si mettevano male – si sarebbe potuto scegliere un individuo a caso da sacrificare, appartenente a una delle due famiglie, per placare la sete di sangue e vendetta.

Sorrentino va oltre, scardina i tabù. Guarda nell’animo femminile pur essendo un uomo e dimostra tutta la sua capacità e grandezza. Parthenope come un Jep Gambardella in gonnella libera e provocante che infastidisce, che sta facendo discutere e non si comprende pienamente anche perché donna, e che oltretutto è incestuosa. Infatti, nella maggior parte delle recensioni del film, raramente si trova la parola “incesto”, proprio perché è il tabù per antonomasia. E poi la donna deve essere madre, moglie, fedele, stabile.

Ma Parthenope è una giovane ragazza già stanca della vita; quella tipica stanchezza di chi ha già visto e vissuto troppo e ha già capito quanto si può arrivare a soffrire. Una Sirenetta delle favole di cui si mostra il dopo di quel fatidico “E vissero felici e contenti”.

Hai amato troppo o troppo poco? Forse il senso della vita stessa sta tutto qui.

Un film che gira intorno alla canzone di Riccardo Cocciante, Era già tutto previsto. Un film che senza quella canzone quasi non esisterebbe. Una canzone che fa il film, struggente fino allo sfinimento. Un amore vietato e gridato che porta a desiderare di morire. Perché solo l’amore è capace di rendere i nostri giorni in questo mondo degni di essere vissuti, sopportabili. Se assente, tanto vale scomparire: “L’amore è provare a sopravvivere”.

Parthenope e una sceneggiatura da leggere e rileggere. Gli attori in stato di grazia. Una storia su Napoli che in realtà è una storia universale. Un film che ti rimane dentro per giorni e giorni. C’è Fellini, c’è Bertolucci e il suo The Dreamers, c’è Povere creature di Lanthimos, c’è Shakespeare e Romeo e Giulietta.

I sentimenti proibiti ci riguardano. La mitologia ci ha insegnato che non è così assurdo amare il proprio padre, fratello, figlio, la propria madre, sorella o figlia. Ma per evitare la violenza, abbiamo dovuto reprimere queste passioni nel luogo più profondo e nascosto di noi stessi. Eppure è tutto ancora lì, e quell’amore si manifesta sotto altre forme quando non si palesa esplicitamente. Gli uomini ricercano le proprie madri nelle mogli. Le figlie i propri padri nei mariti. Una fidanzata finisce per somigliare alla propria sorella. L’uomo ideale rispecchia nostro fratello. È qualcosa d’inconscio che turba ma è presente.

C’è chi elaborando il proprio rapporto con i genitori e la famiglia d’origine riesce ad allontanarsi da quell’ideale. Ma, per fare questo, è necessario compiere un grosso lavoro su sé stessi, conoscersi. È un lavoro che fanno pochi e per pochi. È più facile non allontanarsi troppo dal nido, non inoltrarsi in terreni sconosciuti. Smettere di ricercare il padre, la madre, il fratello o la sorella, richiede di diventare adulti.

Parthenope invecchierà, ma non diventerà mai grande, perché è morta nel momento in cui il suo grande amore impossibile si è suicidato, e proprio durante quella giovinezza apparentemente spensierata che passa sempre troppo presto. Sua madre la incolperà. Il trauma segnerà e rovinerà ogni sua scelta per il resto della vita.

A un certo punto, mentre guardi il film, scoppi a piangere e non sai nemmeno perché. Ma sai che è così e che è giusto così. La vita doveva andare così, ovunque ti abbia portato.

Parthenope come un fantasma che tira avanti, un fantasma bellissimo che (non a caso) grazie all’antropologia – che studierà e poi insegnerà – imparerà la cosa più importante di tutte: vedere, grazie alla mancanza.

 

Articolo tratto dalla rivista culturale Pangea.news

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