Intervista al filosofo Marco Vannini, il più grande esperto di mistica e di Meister Eckhart
Parliamo tanto. Pensiamo troppo. Ascoltiamo poco. Tutto si basa sul linguaggio. Tutto, tranne il mistero della vita. Non sappiamo nulla nemmeno riguardo alla coscienza, alla materia oscura, eppure ci comportiamo come se avessimo capito tutto. Anche Dio resta comunque incontemplabile, al massimo si può provare a dire cosa non è.
Come scrisse un grande esponente della via negativa, Dionigi l’Areopagita, nella sua Teologia mistica:
“le cose più divine e più alte tra quelle visibili e pensabili sono soltanto parole che suggeriscono [alla mente] le realtà che rimangono sottoposte a colui che tutto trascende e che rivelano la sua presenza superiore ad ogni pensiero, situata al disopra delle vette intellegibili dei suoi luoghi più santi. Allora egli si distacca da ciò che è visibile e da coloro che vedono, e penetra nella tenebra veramente mistica dell’ignoranza. Rimanendo in essa, chiude ogni percezione conoscitiva ed entra in colui che è del tutto intoccabile ed invisibile: [allora] appartiene veramente a colui che tutto trascende, senza essere più di nessuno, né di se stesso né di altri; fatta cessare ogni conoscenza, si unisce al principio del tutto sconosciuto secondo il meglio [delle sue capacità], e proprio perché non conosce più nulla, conosce al di sopra dell’intelligenza”.
Ho provato a parlare di ciò di cui non si può parlare con il più grande esperto italiano di mistica, il professor Marco Vannini, filosofo e traduttore. Nel libro che uscirà per Piemme a fine mese, I sentieri della meditazione. Mindfulness: cos’è cosa non è e perché ha cambiato il mondo, parlo molto di misticismo cristiano, di buddhismo, di filosofia, e tratto il tema della meditazione e della mindfulness proprio per via negativa o apofatica, e ho citato talmente tanto Vannini da desiderare di parlare con lui.
Come si è avvicinato alla mistica e perché proprio Meister Eckhart, di cui è il massimo esperto, è diventato il Suo “preferito”? Il Maestro proclamava, tra le tante cose: “Prego Dio che mi liberi da Dio”, una frase così profonda da commuovere, che Lei cita spesso, non a caso, come se ne racchiudesse un po’ tutto il suo pensiero…
Ho conosciuto Eckhart da studente ginnasiale, grazie al libro di Giuseppe Prezzolini Studi e capricci sui mistici tedeschi, e poi all’antologia di Eckhart curata da Giuseppe Faggin: La nascita eterna. Ho pensato fin da allora che si trattasse del pensiero più profondo. La celebre frase è in effetti molto significativa, perché indica insieme il rivolgersi verso l’Assoluto e il toglier via ogni Relativo.
Perché la chiesa ha sempre avuto paura della mistica? La teme ancora?
La cosiddetta mistica, che non è altro che la filosofia, implica la libertà del pensiero, il non riconoscere autorità superiore alla ragione, l’assenza di mediazione tra uomo e Dio, e questo può apparire, oggi come ieri, conflittuale con le religioni costituite – tutte quante.
Perché gli occidentali che scelgono di avvicinarsi o di riavvicinarsi alla spiritualità si rivolgono sempre di più alle pratiche che arrivano dall’Oriente?
Perché non conoscono quelle d’Occidente, e poi perché, come dicevano i latini, omne ignotum pro magnifico.
L’antropologo René Girard, ne La violenza e il sacro, scriveva che senza il sacro e la religione, il rischio è quello di tornare a una violenza inaudita, perché l’essere umano è violento per natura e prima dell’avvento della religione si è usata la vittima espiatoria per tenere a bada le comunità. Oggi, al posto della religione, abbiamo la Legge. È d’accordo? Cosa accadrà nel momento in cui l’umanità abbandonerà totalmente la religione? Sta già accadendo? Non succederà mai? La sostituirà la scienza o l’intelligenza artificiale? Oppure recupereremo il nostro rapporto quantomeno con la mistica?
Questa domanda è troppo articolata per avere una risposta semplice. Comunque inizio dicendo che le tesi di Girard non mi hanno mai convinto. La domanda religiosa è più forte che mai, solo che non trova risposta nelle Chiese. Io non sono profeta, ma credo che ci sarà presto un cristianesimo per così dire non religioso, quello di Eckhart e di Le Saux, di cui ho parlato nel mio Oltre il cristianesimo.
L’Occidente sta dimenticando Dio? Dio non inteso come l’uomo barbuto che ci guarda seduto sulle nuvole, ma come quel mistero che permea ogni nostro istante, ogni gesto, sguardo, atomo, quello di cui siamo fatti, la natura del nostro stesso essere nel mondo, del nostro senso nel mondo.
Non credo che né in Occidente né altrove si stia dimenticando Dio, se non appunto nella sua veste diciamo così biblica. Solo che è ancora impegnato a rimuovere quella immagine, che ritiene – falsamente – essere quella stessa di Dio.
L’uomo di oggi ha più o meno paura di morire rispetto al passato? Non nota anche Lei un eccessivo attaccamento alla vita? È dovuto al fatto che non si muore più a trentacinque, quarant’anni (quando andava bene) ma addirittura a novanta, cento anni? Crede davvero che si riuscirà a sconfiggere la morte e a raggiungere una sorta d’immortalità della coscienza, oppure si vivrà semplicemente ancora più a lungo? E cosa potrebbe comportare tutto questo?
Oggi c’è più paura di morire perché è venuta largamente meno la fede nell’immortalità dell’anima e nella vita eterna. Non credo che si riesca a diventare immortali, e in ogni modo spero proprio che questo non avvenga (almeno al sottoscritto!).
Grazie alle Sue spiegazioni e soprattutto alle parole di Eckhart, guardo alla figura di Gesù Crocifisso in maniera diversa: quell’immagine è emblema del distacco, immagine che poi bisognerebbe comunque abbandonare per unirsi “all’essere senza forma, perché la consolazione spirituale di Dio è fine, e si offre solo a chi rifiuta le consolazioni della carne”. Una frase di Eckhart che mi ha toccato molto è:
“Dio è morto, perché io muoia al mondo e a tutte le cose create”.
Il disagio della nostra civiltà arriva da questo? Dall’incapacità, a un certo punto, di distaccarsi da sé stessi e da tutte le cose?
È proprio così, assolutamente.
In Mistica e misticismo cristiano, il teologo Henri-Marie de Lubac scrive che anche Nietzsche era una sorta di mistico. A cospetto del vuoto, del vero vuoto, anche Nietzsche ebbe paura, ed è per questo che creò il suo Tutto, la sua Teoria, la sua visione: l’Eterno ritorno. De Lubac scrive:
“Il fatto è che la pura negatività era un sogno impossibile. Il superuomo non poteva edificarsi assolutamente nel vuoto. Nietzsche ha finito per rendersene conto e, come il marinaio tappa febbrilmente una falla nella sua barca in difficoltà, colma il vuoto attraverso il quale il Dio scacciato minaccia di tornare ad invadere la sua antica dimora. «Se non vogliamo ricadere nel vecchio concetto di un Creatore», dobbiamo mettere al suo posto qualcosa d’altro e questo qualcos’altro sarà l’Eterno ritorno. Nel bene e nel male questo paradosso deve essere difeso, poiché «colui che si rifiuta di credere in un processo circolare dell’universo, è tenuto a credere in un Dio sovrano assoluto». Quindi l’eterno ritorno si impone quale sostituto indispensabile del dio morto. Solo lui può suggellare la pietra della sua tomba”.
Condivide questo pensiero? Crede anche Lei che nessuno riuscirebbe a vivere al cospetto del nulla? Nemmeno chi si definisce un vero ateo-materialista?
Ho avuto la fortuna di conoscere il p. de Lubac, i cui libri mi hanno nutrito nell’adolescenza e che ho molto stimato. Comprese bene l’importanza di Nietzsche, ben prima della fortuna del nietzschianesimo di qualche decennio fa, ed intravide il profondo senso religioso del suo pensiero. Da parte mia, modestamente, ho dedicato molte pagine a Nietzsche, sottolineando ancor di più questo suo senso religioso, per cui, secondo alcuni importanti studiosi, lo stesso Übermensch non sarebbe altro che l’uomo rinnovato dalla grazia (nonché l’“uomo nobile” di Eckhart).
Leggendo le parole di de Lubac mi sono detta: Nietzsche è stato una sorta di Anticristo? Ha condotto davvero l’Occidente verso una nuova religione, verso quel nichilismo che però non è ancora diventato la base per la costruzione di nuovi ideali?
Nietzsche non è stato affatto l’Anticristo (cui, tra parentesi, ho dedicato un libro) e il suo Anticristo non è contro Cristo, bensì contro Paolo, visto come astuto manipolatore dell’insegnamento di Gesù e genio del risentimento giudaico, da cui nasce la Chiesa. Nietzsche non ha affatto fondato il nichilismo: ne ha solo preso atto, con grande lungimiranza, mostrando anche il carattere positivo, liberatorio, del nichilismo stesso. La tematica del nulla, e del nulla divino, è, del resto, propria anche di Eckhart.
Non è che per caso stiamo vivendo oggi la vera epoca degli “atei spirituali”, del Libero Spirito?
In certo modo forse sì, ma temo che la profondità dell’eresia del Libero Spirito non sia molto spesso raggiunta, in un tempo in cui la stessa nozione di spirito è scomparsa dal linguaggio – e dall’esperienza – comune.
C’è una frase che Lei ha scritto ne La via del distacco che ho fatto mia:
“Scendere nel nulla che costituisce il ‘fondo dell’anima’ è possibile solo con la fede che anche quel nulla possa essere Dio (altrimenti è fatale posare la vanga, sospendere lo scavo, come diceva Nietzsche, con tutto quel che di ‘sospetto’ è in ciò), e solo in e per quella fede il nulla si converte nell’essere, le tenebre in luce, il fondo dell’anima nel fondo stesso di Dio: l’anima ‘se non spera, non troverà l’insperabile, perché è introvabile e inaccessibile’, come scriveva Eraclito, l’antico filosofo del Logos che, forse, più di ogni altro, ha affinità con Eckhart”.
Alla fine avere fede vuol dire questo? Sperare che quel nulla sia Dio?
La fede non è una credenza, bensì il muoversi dell’intelligenza verso l’Assoluto, e perciò toglier via ogni relativo. Non dà nessuna conoscenza, ma toglie via ogni pretesa conoscenza, facendo il vuoto nell’anima, finché l’anima stessa non scopre di avere in sé la pura luce – anzi, di esserla. Un preciso filo conduttore connette Eckhart, san Giovanni della Croce, Hegel su questo tema della dialettica della fede. Come scrive la Chandogya Upanishad:
«Solamente quando si ha fede, si pensa. Chi non ha fede, non pensa. Pensa soltanto colui che ha fede».
*In copertina: Gabriel von Max, Velo di Veronica, 1874
Articolo tratto dalla rivista culturale Pangea.news