Pearl Jam, Still Alive a San Siro

 In IL SETACCIO

Abbiamo aspettato a scrivere questa recensione perché volevamo essere lucidi, dovevamo riprenderci, eravamo stanchi. Perché non abbiamo quasi più il fisico per reggere tre ore di concerto, soprattutto un concerto simile, dove non c’è stato un attimo di respiro, dove si è cantato e saltato per tutto il tempo, dove si è pianto e gioito. I Pearl Jam sono ancora vivi e gli anni se li portano benissimo. Una scaletta così non potevamo neanche sognarcela, manco gli avessimo telefonato per chiedergli di farci esattamente quei pezzi. Invece è successo.

In Ten hanno dato sicuramente il loro meglio. Dopo Ten avrebbero potuto anche sciogliersi, forse, ma loro no. Hanno fatto ancora qualche bel disco e a più di vent’anni di distanza dai loro esordi sono ancora qui, a fare concerti in giro per tutto il mondo. E che concerti. Eddie aveva e forse ha ancora un’anima dannata con cui ha dovuto combattere, ma alla fine ha vinto la parte buona, la parte amante della vita, amante del surf, del mare, del vino, della musica, di sua moglie, dei suoi figli. E proprio per questo è stato odiato da molti. Lui non rappresentava quel tipo di grunge che faceva male, rabbioso, incazzato, che trasudava disagio. I fan dei Nirvana odiavano in parte i fan dei Pearl Jam. Quelli che ascoltavano i Pearl Jam erano degli sfigati. L’alcol, per Eddie, è un vizio, un brutto vizio, ma lui è un alcolista da pub, che beve per divertirsi, non per cercare di morire più in fretta. I Pearl Jam sono sempre stati troppo poco maledetti, troppo entusiasti, vitali, troppo romantici. Eppure suonano rock come si deve, e a San Siro ce l’hanno dimostrato.

Il live si è aperto con il botto. Release, Nothingman, Sirens, e per non farci mancare niente, subito Black, inaspettata, stupenda come sempre. Dopo Black avevamo già finito il fiato e le forze, ma è stato solo l’inizio, perché poi sono arrivate Go, Do the Evolution, Corduroy, Lightning Bolt, Mind Your Manners, Pilate, Untitled/MFC, Given to Fly, in una versione velocizzata, tagliata, e dove Eddie, all’inizio, si è anche dimenticato le parole, ma fa niente. Ci siamo fatti tutti una risata, lui compreso, per poi proseguire con Who You Are, Sad, la bellissima Even Flow, con un finale epico da pelle d’oca in cui Mike McCready ha dato il meglio, proponendo una schitarrata finale spaventosa. Valeva la pena di vedere il live solo per questo. E ancora: Swallowed Whole, Setting Forth, da In To The Wild, Not for You, la stupenda Why Go, e la grandiosa Rearviewmirror. Fine della prima parte. Eravamo già tutti distrutti, quando i Pearl Jam sono tornati sul palco per un set un po’ più acustico e tranquillo, dove hanno suonato Yellow Moon, Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town, Thin Air, Just Breathe, Daughter, bel pezzo, ma che verso la fine ci ha un po’ deluso, perché lo hanno allungato e hanno cominciato a sembrare una versione brutta degli U2. Qualche momento dedicato ai ricordi, alla famiglia. Eddie ha ringraziato sua moglie per averlo salvato, perché quando l’ha conosciuta quattordici anni fa, proprio qui a Milano, si sentiva come se fosse finito sotto un treno (il tutto letto su un foglio in una specie d’italiano), ma poi è arrivata lei, che gli ha donato due figlie.

E poi è arrivato il nostro grande momento: Jeremy, che dal vivo rende anche poco rispetto ad altri pezzi, ma che ci ha rigettato in un attimo nella nostra adolescenza, quando l’ascoltavamo nei momenti peggiori, che devono essere stati proprio tanti, perché l’abbiamo consumata. E giù le lacrime, ma questa volta per la gioia, perché come per Eddie anche i nostri brutti momenti sono passati e l’adolescenza è finita. Rimangono i ricordi, quando si provava a suonarla alla chitarra ma era troppo difficile, quando la si cantava a squarciagola e i nostri genitori non ne potevano più, ma alla fine anche nostro padre si è appassionato a quel pezzo, lui, che è cresciuto durante gli anni ’70, ma che ha riconosciuto subito la potenza di quel brano. Perché dentro Jeremy c’era del dolore, della rabbia, del disagio. E anche se pure noi preferivamo i Nirvana, quel pezzo lo abbiamo adorato, così come Ten, perché con il passare degli anni ci siamo accorti che forse non erano i Pearl Jam a non essere grunge, è solo che loro sono sempre stati più ricercati, più sofisticati, e meno grezzi rispetto a tanti altri gruppi di quel periodo. E quel video… negli anni ‘90 MTV, quando era ancora la grande MTV, passava il video di Jeremy tre volte al giorno, seppur censurato. Un video durissimo, con quel giovane che alla fine si sparava davanti a tutti i suoi compagni di classe. Ci siamo immedesimati in tanti in lui, purtroppo. E di lì a poco, uno di quelli del grunge, anzi, il grunge in persona, alla fine compì quel gesto per davvero, non davanti a tutti, ma chiuso e abbandonato a se stesso in una stanza, solo. E ci lasciò orfani, e il grunge morì, e anche Eddie deve essere caduto in una sorta di crisi esistenziale dopo quel gesto, perché si rese conto come tutti del fatto che un’epoca era finita, un genere esaurito, un amico se ne era andato, un altro dio era morto.

Neanche il tempo di riprendersi da Jeremy che sono arrivati altri grandi pezzi come Better Man, Spin the Black Circle, Lukin, e la grandiosa Porch. A parte il pessimo audio, come sempre a San Siro, che ha fatto sembrare certi pezzi solo e puro noise, dove non si distingueva uno strumento dall’altro, l’altra cosa vergognosa è stata accendere le luci venti minuti abbondanti prima della fine del concerto. Prima hanno acceso quelle del terzo anello, poi, quando ancora mancava il secondo bis, le hanno accese proprio tutte. E così ci siamo ascoltati Alive, Rockin’ in the Free World (suonata alla chitarra dal figlio di Matt Cameron) e Yellow Ledbetter, con quei fari puntati addosso, con il fiato sul collo dell’organizzazione che ci voleva fuori di lì il prima possibile, ma tutti se ne sono fottuti e nessuno si è mosso o si è fatto demoralizzare dalla cosa, e sessantamila persone hanno continuato a saltare, pogare e cantare come se nulla fosse, anche se Eddie segnava l’ora sul polso ricordandoci sarcastico che era tardi. Ma chi se ne frega, questo è rock and roll, ce ne siamo sbattuti delle regole e degli orari, Pearl Jam compresi, che hanno suonato alla grande, fino all’ultimo, con il sorriso sulle labbra e grinta da vendere.

 

 

Scaletta:

Release

Nothingman

Sirens

Black

Go

Do the Evolution

Corduroy

Lightning Bolt

Mind Your Manners

Pilate

Untitled/MFC

Given to Fly

Who You Are

Sad

Even Flow

Swallowed Whole

Setting Forth

Not for You

Why Go

Rearviewmirror

 

Primo Bis:

Yellow Moon

Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town

Thin Air

Just Breathe

Daughter (con citazioni di W.M.A.,Let it Go,it´s OK)

Jeremy

Better Man

Spin the Black Circle

Lukin

Porch

 

Secondo bis

Alive

Rockin’ in the Free World

Yellow Ledbetter

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