Ben Harper live a Milano: he’s “only” rock and roll
Ebbene sì, i tempi cambiano e ad un certo punto succede anche che un cantante di nome Robert Plant – leader di una delle band che fece la storia del rock negli anni ’70, i Led Zeppelin – si ritrovi ad aprire il concerto di un altro grande artista, ma figlio degli anni ’90: Ben Harper.
Plant, con i suoi “Band of Joy”, il 20 Luglio 2011, presso l’Arena civica di Milano, in occasione del Jazzin’ Festival, ha fatto da gruppo di supporto a quello che da alcuni viene definito quasi il nuovo Jimi Hendrix. Robert si è comunque fatto valere, nella sua nuova versione alquanto country, ha sfoggiato una chioma bionda ancora molto folta (avrà fatto un patto con il diavolo anche lui) e una voce semplicemente degna di nota. Undici anni fa avemmo la fortuna di vedere Plant e Jimmy Page al Palasharp di Milano, dove i due – anche se senza chiamarsi più Led Zeppelin – ripercorsero tutto il repertorio dei Led (tranne Starway to heaven) facendo letteralmente impazzire la folla. Niente a che vedere con il live all’Arena, ma che indubbiamente è riuscito comunque a scaldare gli animi dei presenti. Il punto è che questa volta la data di Milano al Jazzin’ era sold out per Ben Harper e non per Robert.
Ben è un bel ragazzo cresciuto nel negozio di strumenti musicali dei nonni materni, e probabilmente da bambino imparò a dire prima “chitarra” della parola “mamma”.
Ben è ormai un uomo e un artista, famoso anche per l’uso sopraffino dello slide, e non ha bisogno di schermi e luci led per suonare su un palco, ma solo dei suoi musicisti e delle sue inseparabili chitarre, quasi una per ogni canzone.
Il concerto all’Arena è stato aperto soltanto da Ben con il brano “Burn one down” in versione acustica. Jeans e maglietta bianca, la sua voce e la sua musica, nient’altro.
“Diamonds on the inside” è stata la seconda canzone eseguita da Ben e i suoi Relentless 7, un brano suonato con poca enfasi, quasi per accontentare chi lo conosce solo per le sue canzoni più commerciali.
Ben è davvero simpatico, si diverte, parla con il pubblico, e dice: “Vi ringrazio infinitamente per essere ancora qui ad ascoltarmi, anche se non venivo in Italia da un bel po’ di tempo. E anche io sono ancora qui!”
Ed è poi la volta di brani acustici e di canzoni d’amore come “Masterpiece”, “Forever” e “Walk away”, dove alla fine dei quali Ben ha ringraziato nuovamente il pubblico per aver mantenuto il religioso silenzio come nei piccoli club dove lui adora suonare.
E poi ancora “Don’t trust a woman”, “Ground on down”, “Burn to shine”, con un Ben Harper in piena forma che ci ha fatto commuovere a suon di assoli di chitarra come non se ne sentono più dagli anni ’70.
Qualche nuovo brano come “Rock N’ Roll is free” e “Don’t give up on me nowe”, giusto per ricordarci che questo è il tour per il suo nuovo album “Give till it’s gone” e poi “Number With No Name”, tratto dal bellissimo disco dei Relentless 7 “White lies for dark times”.
Un momento davvero emozionante è stato evocato dal brano “Where could I go” (Blind Boys of Alabama) dove Ben ha zittito tutti per poter cantare senza microfono, sfoggiando voce, carisma e grinta da vendere.
Il finale del live è stato affidato a “Better way” e l’apertura del bis ad una cover di Crosby, Stills Nash and Young, “Ohio”, brano che pochi hanno riconosciuto ma che noi abbiamo cantato a squarciagola, per poi chiudere con una versione acustica di “With my own hands” molto più bella dell’originale.
Insomma, Ben con questo live ci ha fatto davvero sognare ed è stato in grado di oscurare una figura mitica come quella di Robert Plant, anche se il concerto è durato solo un’ora e quaranta, anche se avremmo voluto sentire molti più brani tratti da dischi come “Welcome to the Cruel World” e “The Will to Live”, per esempio “Faded” o “Roses from my friends”, ma questo è mero gusto personale. Ben invece, è stato intenso ed immenso, come mai ci saremmo aspettati.